Se un giorno, all’improvviso, ti trovi sotto l’ombra di un faggio una donna coi capelli ricci, scuri e brillanti come una notte stellata e uno spicchio di luna; se fai attenzione, la troverai col libro in mano leggendo ai bambini. Essi la conoscono col nome “La Donna che legge”.
Se per caso ti fermi ad ascoltare, potrai vedere come gioca la brezza con le sue mani e con le pagine che legge con tanta cura, mentre il suo sorriso contagia a tutti quanti stanno ad ascoltare. La parola dolce e sicura ti farà viaggiare per un’infinità d’universi, dipinti a pennellate, di una profonda bellezza.
Se la incontri di mattina presto, troverai nella sua voce il ronzio delle api accarezzando le rose. Se invece avrai la fortuna di trovarla di sera, col tramontare del sole, vedrai come i suoi occhi chiari riflettono tutta la bellezza e bontà di questo mondo: la pelle diventa un arcobaleno d’aranci, e la voce che legge sarà come il refolo d’aria fresca arrivata dal profondo oltremare d’agosto.
Se la trovi, caro amico, non ti sbagliare questa volta: fai delle mie mani le tue, e accarezza i suoi capelli scuri come se fosse la prima volta; fai dei miei occhi i tuoi e delle mie labbra le tue, caro amico, perché ci sono ancora tanti baci e tante parole da dirci: le abbiamo depositate con cura in due piccole scatole policromate tra i fiori di un tempo che doveva avvenire.
L’ho conosciuta trenta anni fa, caro amico, in una piccola città al nord dell’Italia: Cremona. L’amore per i libri, la pergamena, l’inchiostro, la parola scritta come testimone del nostro viaggio, e da un’altra parte, il legno, le proporzioni auree e le resine conformate in musica, ci hanno fatto incontrare. Carta e legno, poesia e musica. Non sono forse degli ingredienti adatti per far nascere un romanzo?
Sarno, Madrid e Cremona. Un triangolo che sempre ho voluto immaginare come quello estivo formato por Altair, nella costellazione dell’Aquila; Deneb, nel Cigno e Vega, nella costellazione della Lira. Il triangolo è enorme, caro amico, ma se ti fermi a pensare un attimo, le distanze, quando si misurano col calibro del cuore, sono realmente minuscole.
Come gli piace fermarsi sul cielo stellato ad ascoltare i miti e leggende degli astri, caro amico! E sai perché? Perché lei è figlia dalla curiosità e lo stupore: I due pilastri della conoscenza. Ma immagina, per un istante, un violoncello ed un violino suonando insieme. Puoi capire? Immagina per un istante… Ma scusa, mio caro ed apprezzato amico, che vada scivolando tra le parole ogni tanto. Forse quello che mi manca è proprio quell’aria fresca piena di parole tenere scendendo dal Vesuvio stasera.
Ricordo quella volta che siamo saliti lì: sul Vesuvio… La veduta è proprio impressionante. Giravo e giravo per finire sempre a scontrare i suoi occhi e il suo sorriso. E tutto finiva per fermarsi, come in una di quelle istantanee scattate furtivamente e che resta nella retina del tempo sempre fresca e giovane.
Abbiamo viaggiato dal nord al sul dell’Italia e abbiamo goduto insieme dai più piccoli piaceri della vita: il fiore che spunta, i baci, la neve sulla montagna, gli abbracci, il muschio aggrappato sulle rocce, gli sguardi, un pranzetto nelle profondità dei boschi, le carezze, un gelato a San Giminiano, le nostre mani, i pomodori freschi dalla toscana, amore, le mozzarelle piene di latte, più amore, amore e tutto amore. Perché amore è quello che lei è, e amore ha saputo regalare a mani piene, mio caro amico.
Ci sposammo, a mezzogiorno, il tre gennaio del mille novecento novantanove. Sai quante esperienze vissute per concludere nella gioia del proprio figlio? Ebbi la fortuna di stare lì, davanti alla meraviglia della nascita, mantenendo pressa la mano de lei, intanto il mondo sorrideva per l’arrivo di Bruno.
I bagnetti tiepidi, il brodo di mamma, le canzoni di culla, le notti insonni, le passate di verdure o quelle di frutta, i primi passi, le parole nuove, i giochi… I sorrisi.
E poi… Poi successe che trentacinque anni non sempre sono sufficienti per diventare adulti, mio carissimo amico. Quanto è facile scivolare nell’ignoranza e la stupidaggine! Ma questa parte della storia, caro amico, so che la conosci bene e non ha nessun senso parlare di essa, poiché il tempo ci insegna a capire che cosa è importante, e che cosa dobbiamo depositare nel cestino della memoria scaduta. E nonostante, come nella carta del torrione del tarocco, le mattonelle cadono, ma le fondamenta rimangono intatte.
Tu sai bene, mio prezzato amico, quel che successe tra noi a Madrid quel mese, freddo e piovoso, di febbraio del duemila diciassette. Fu bellissimo! A quel momento rimasi senza parole, ma il tatto dei suoi capelli nelle mie mani ed il sale dolcissimo delle sue lacrime, fuse in lunghi abbracci, si sono approfonditi nella mia anima e nella mia memoria como approfondite sono le radici di un cipresso millenario nella terra fertile. La parola scarsa, contenuta, ma il sentimento all’infinito.
Ho impegnato più di un anno per capire e sistemare tutti quei sentimenti scontrati. Tu lo sai, mio caro amico: ho fatto lunghe passeggiate con la camera in mano, cercando la bellezza delle nuvole, le testure delle cortecce degli alberi, il profumo della pioggia sulla terra assetata, i contrasti della luna nelle notti invernali, la nebbia con le sue sfumature sul grigio. E così, un paso dopo l’altro, fin arrivare ad un pomeriggio di pioggia e sole. Possono i colori stupire l’anima? Credo proprio di sì.
Perché quel pomeriggio, mio caro e prezzato amico, i passi mi portarono verso una rosa rossa, scura, solitaria e benedetta dalla pioggia. E fu al momento di scattare la fotografia, quando ebbi coscienza del luogo sul quale appoggiavo le mie ginocchia. Quelle rose erano le sue rose, e quello spazio di terra lo aveva creato lei, con le proprie mani, tanti anni fa.
Mi sono seduto un attimo… Il sufficiente per sistemare le idee, i sentimenti… Il passato! Benedetta pioggia che nasce dall’anima giusto per curare la propria terra! La nostra terra! E così, col cellulare in mano, sono riuscito a scrivere a fiotti, impastando alcune parole per costruire quella comunione e quello stato di pace che tanto meritavamo tutti e due.

Ma caro amico: Io e lei avevamo un appuntamento. Veramente ci è mancato il momento di parlare uno di fronte all’altro. E non posso capire la tua distrazione… E ti dico questo, perché quella sera ho accesso tutte le candele e ti ho pregato la notte intera. Avevo pulito le scarpe, stirato pantaloni e camicia; avevo aggiustato la giacca e mi sono preparata una bella e colorita cravatta. Perché al mattino, mio caro e distratto amico, ero io a prendermi con te quel caffettino. E sai cosa posso dirti adesso? Ora posso capire perché gli oceani sono salati!
Ho trovato, nella mia vita, un pensiero che bene potrebbe essere definito come verità: tutto ciò che esiste; tutti gli esseri di questo mondo sono il risultato dei processi creativi di Amore. É davanti a questa verità che Io ti invoco, caro amico, così come invoco a tutti quanti ti hanno preceduto, come a quelli che si sono aggiunti alla tua causa dell’amore più tardi.
Possa lei trovare, col vostro aiuto, il sentiero che porta alla luce. Possa lei viaggiare sicura, fiduciosa e tranquilla nella vostra compagnia e guida, essendo consapevole che noi siamo qui: presti ad aiutarla a transitare questa strada. E possa lei finalmente essere quello che sempre fu: gioia, amore e luce. Sempre nel beneficio e la felicità altrui, di tutti gli esseri, eppure di lei stessa. Perché cambiare il mondo coi piccoli fatti è stato proprio il suo migliore dono.
Possa nostro figlio trovare la mamma dentro di sé. Lì dove sempre è stata: nel centro stesso del suo cuore e nelle profondità della sua anima. Possa Bruno trovarla nei fallimenti e nei successi. Possa incontrarsi con lei nella bellezza dei boschi, nelle forme delle rocce, nelle piccole rose, gli spicchi di luna ei cieli stellati. Possa lui incontrarla nei propri riflessi sugli stagni d’acqua chiara e possa lui costruire quello spazio intimo e bello dove poter chiacchierare a lungo con lei… In pace.
Possano i suoi genitori, Elena e Bruno, trovare la figlia in sé stessi; nelle immagini che ritornano dallo specchio, poiché lei è parte di loro stessi. Possano quindi guardarsi sugli occhi per riconoscere lei in sé stessi e così abbracciarsi nella gioia dell’amore. Possano incontrarla tra le foglie dei nocciolini, nel lavorare con amore le melanzane sott’olio, nei primi fiori dei pomodori lassù. Possano incontrarsi nell’accurata preparazione della pasta al brodo, nel dissodare perfetto della terra. Possano trovare lei nelle altre due care figlie, poiché Nunzia abita pure in esse. Possano loro trovare la felicità e la pace.
Possano le sorelle Roberta e Giuliana trovare Nunzia nei ricordi, nel lavoro quotidiano, nella lettura dei libri. Possano incontrarsi con lei nei propri sguardi, nei gesti, nell’intonazione della voce. Possano mantenere il percorso di quella Navicella di Nunzia che riempie di fantasia ai piccoli del mondo. Possano loro continuare a cambiare il mondo con la stessa energia e umiltà: con i piccoli atti… Perché sarà lì dove si incontreranno tutte e tre a sorridere e a fare il girotondo. Possano incontrarsi tutte e tre nella felicità della pace.
Possano i familiari, gli amici e conosciuti trovare l’amica dovunque, e possano essere certi che se mettono a fuoco lo sguardo sul proprio centro, troveranno il sorriso sincero e bello di lei in sé stessi. Possano loro curare i suoi ricordi e adornarli con i più bei fiori. Perché lei sarà sempre lì: sui fiori.
Cara Nunzia
Cara amica
Mi aspetti due minuti?
Devo dare un’occhiata ai bimbi,
Sistemare i letti,
Vedere se la tavola è pronta:
Piatti e coperti ben sistemati.
Se vengono a cena gli amici.
Se sono a posto i vestiti.
Se c’è della legna nel cortile.
E poi, cara Nunzia,
Quando vuoi,
Mi terrò la tua mano
E imbarcherò sulla tua navicella.
Tu sarai la Capitana
Io sarò il timoniere.
Navigheremo tra le nuvole
E prenderemo in giro alle tormente
I velami saranno i pennelli
Nostra gioia, i colori.
Troveremo nelle ellissi
La scorciatoia a tutte le rette,
Nell’andare indietro il progresso
Nell’andare avanti, l’amore.
Arriveremo sul porto violetta
Dell’isola sconosciuta
Ma che ce ne importa il nome quando
C’è tanto da scoprire?
Ci interneremo nei boschi
Cercando un chiaro nel centro.
La tovaglia a quadri bianchi e rossi
Ed il muschio per cuscini.
Poi, senza fretta,
lasciamo parlare gli occhi
Ed aspettiamo la sera.
Con solo uno spicchio di luna,
Come te,
avremo una luce perfetta.
E apriremo le nostre scatole policromate di parole
Per farle fiorire!
Ce ne sono tante!
Un infinito forse?
Parole notturne d’insonnia
Parole coi primi raggi di sole
Parole contenute
Parole mai dette
Parole alla sera
Parole di ieri, d’oggi e di domani.
E non dovremo fare altro che stare lì fermi ad ascoltarle
A lasciarle fluire, girare, incontrarsi, accarezzarsi
Ingrandirsi, accorciarsi, stirarsi.
Alcune sono rinchiuse la da tanto tempo!
E poi,
Volino le parole con la brezza del mare!
Perché forse sarà il momento di prendersi le mani
E provare, chi lo sa, a volare!
Solo due minuti e sono pronto!
Cara Nunzia
Cara amica
Cara sposa.
Tu vuelta ha sido por la puerta grande. Una música extraordinaria y una historia preciosa. Me alegro de «verte» de nuevo. Un abrazo.
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Muchas gracias, Paz! Otro de vuelta para ti.
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